martedì 30 ottobre 2012

Capitolo 29 (di Fräulein R.)



Admiral City.
Salazar Tower.
Ore 11.48 P.M.

La vera umiliazione, per Stray, non era che senza Dehydra sarebbe stata ancora raggomitolata a lottare per non annegare nel liquido che le stava riempiendo i polmoni. La vera umiliazione era essersi fatta fregare dal texano e aver pure pensato che, non uccidendola, lui la stesse risparmiando. Cazzate.
Lei, Libby e Dehydra erano risalite dal livello S-13 fino al quinto piano, lentamente, accompagnate dai rumori provocati da chissà cosa ai piani superiori. La torre aveva pure vibrato come un fottuto diapason. Per fortuna era durato pochi istanti, altrimenti Stray avrebbe perso la presa e sarebbe caduta a terra.
Libby, in testa al gruppetto, stava mettendo piede sul pianerottolo del quinto piano quando il brusio di voci le fece fermare. Qualcuno parlottava, da qualche parte oltre la porta antincendio deformata.
Libby e Dehydra la guardarono, le fecero spazio.
Stray afferrò la porta con le mani, trovò un punto d’ancoraggio per sé e tirò. I cardini si sbriciolarono come fossero wafer. Mai fatto così poca fatica. Posò il battente contro il muro e levitò dietro a Dehydra e Libby. Avanzarono caute lungo il corridoio cosparso di detriti, scavalcarono un pezzo di controsoffitto e raggiunsero un’intersezione a T. Le voci venivano da sinistra, più chiare: una donna e un uomo che rideva spesso, dandole i brividi.
Stray sfiorò i muri del corridoio con la telecinesi, scelse un punto stabile, vi si ancorò e si spinse avanti. Respirare era un’agonia, ma usare la telecinesi… Cazzo, mai stato così facile! In un giorno normale lo sforzo avrebbe cominciato a farsi sentire con quel fastidioso formicolio alla nuca. Sembrava evidente che questo giorno non avesse nulla di normale.
Il corridoio terminava sulla porta spalancata di un open space in ristrutturazione. C’erano teli protettivi, calcinacci e una cosa informe coperta di fiori viola stesa sul pavimento. E il tronco di un albero. La chioma sconfinava al piano superiore. Qualche metro più in là un groviglio di radici spesse come rottweiler scendeva dal soffitto.
«Cosa ci fa un albero qui?» sibilò Libby.
«A Prezzemolino devono essere girate le palle di brutto, se quella è una pianta di basilico!»
«Dehydra?» chiamò la voce femminile, dalla stanza.
«Bonnie?»
Raggiunsero l’albero. Questa “Bonnie” era seduta tra le radici, insanguinata.
«Ehi, che è successo?» domandò Dehydra.
«Sono impazziti tutti! Salazar, Eddie, American Dream…» singhiozzò.
Stray tastò attorno, cercò dove si fosse nascosto il tizio con la ridarola.
Rabbrividì.
Niente tizio con la ridarola. In compenso, American Dream, impettito, stava scendendo lungo il buco creato nel soffitto dall’albero.
Sì, vieni qui!
Stray concentrò il proprio potere in alto. Afferrò American Dream per le caviglie e tirò. Lo sentì scivolare giù di un paio di metri, poi scalciare per liberarsi.
Oh, no, figlio d'un cane, questa volta non mi scappi, fosse l'ultima cosa che faccio!
Le parve di sentire le mani di qualcuno che la sorreggevano quando smise di levitare, ma non le importava. L’unica cosa importante era convogliare tutto il potere sull’afferrare e tenere fermo quel grandissimo stronzo.
Mani lo spinsero in giù a partire dalle spalle, altre gli strinsero braccia e gambe in una morsa. Quando lo sentì cercare di girare il capo, gli bloccò la testa e compresse il torace.
Dove pensi di andare? Vuoi sgusciare via? Scordatelo!
«Non fartelo scappare, Stray!»
«No, ferma! Dehydra! no!»
«Non è American Dream! Non è lui!»
Iniziò a premere sulla gola dell’uomo.
«Matt! No, ferme!»
Uno schiaffo le bruciò la guancia, un secondo.
Non si fermò. Ora la sentiva: la torre stava ancora vibrando come un fottuto diapason, solo in modo diverso. Vibrava a tempo con lei, la rafforzava, le dava più mani con cui imprigionare il texano, più forza in ciascuna mano per non farselo scappare, per fargli male come lui ne aveva fatto a lei.
AD si contorse, sembrò allungarsi, sfaldarsi, dimenarsi in preda a spasmi. Le ossa si protesero per fuoriuscire dalla carne, e la carne sembrava indecisa tra squarciarsi e ribollire via.
Stray si sentì ridere, qualcuno urlò.
Un nuovo trucco, eh? Non importa, ti terrò qui, fosse l’ultima cosa che faccio in vita mia.
Gli zigomi esplosero fuori dalle guance di American Dream, spuntoni perforarono il torso, si ripiegarono all’indietro, li sentì esplodere dalla schiena. Sempre più inumano e contorto, sempre più debole nel tentare di resisterle.
Gli strinse il collo con decisione. Qualcosa si ruppe, la massa che tratteneva con la telecinesi all’improvviso evaporò, lasciandola a mani vuote.
Stray era scossa dai conati di vomito e piangeva, accasciata a terra.
«Mi è scappato.» riuscì a gorgogliare.
La torre vibrò piano, come in risposta alle sue parole.
«Ehi, tranquilla, tesoro! Il tizio è morto», la rassicurò Dehydra. Le diede pure una pacca sulle spalle.
«Cosa avete fatto a Matt?»
Stray guardò Libby. La velocista era imbambolata, sconvolta. Sembrava che l’accaduto le avesse tolto tutto l’argento vivo di dosso.
«Non era il tuo Matt. Era Nightshifter.» sputò Bonnie, col naso arricciato.
«Qualunque cosa fosse, ora è a secco come uva sultanina nel Sahara. Cazzo, facciamo una bella squadra!»

* * *

Admiral City.
Attico del Crowne Plaza.
Ore 11.57 P.M.

Tito afferrò il fratello prima che cadesse, lo scosse. Gli occhi di Theo erano fissi sul soffitto, sgranati e acquosi. Annaspava per respirare.
Tito gli slacciò la cravatta e la camicia, lo chiamò per nome.
Gli tastò la gola: battito frenetico, pelle secca. Fumo nero sgusciò dalle labbra screpolate, aleggilò per un istante, venne risucchiato quando Theo inspirò con un singulto.
Tito arretrò di un passo, capì di non poter far nulla quando iniziarono le convulsioni.
Guardò le ossa di Theodor allungarsi, squarciare carne e abiti e trasformarlo in una caricatura umana irta di spuntoni. Il volto era irriconoscibile. Non una sola goccia di sangue era uscita dalle ferite, la carne era secca come cuoio.
Tito sorrise mentre iniziava a svuotargli le tasche.
«Mi spiace, hermano, ma consolati: farò buon uso del tuo cadavere.»

* * *

Admiral City.
Salazar Tower.
Ore 11.58 P.M.
La torre vibrava di nuovo. Polvere e calcinacci scendevano dal soffitto.
Stray guardò in alto. Scricchiolii continui, le crepe attorno alle radici si allargavano a vista d’occhio, serpeggiavano fino ai muri.
«Oddio, quanto è grande quell’albero?» sussurrò con un brivido.

* * *

Admiral City.
Periferia.
Ore 11.56 P.M.
Ammit ha fame. La gente che si è riversata per le strade fugge quando la vede, ma non è cibo, non vale la pena inseguirli.
Annusa l’aria. Vento umido che odora di mare e di cibo, dalla sua destra. Un bambino malaticcio dagli occhi scuri la guarda da sotto il porticato di una villetta, immobile. Lui la sfamerà, almeno un pochetto. Carne giovane. Carne tenera. Saliva le cola dall’angolo della bocca.
A quattro zampe, corre verso il bambino. Non riesce a pensare ad altro che a quelle gambette magre, a quanto cibo devono contenere. Poco, ma tutto per lei, da strappare, gustare, leccare via, rosicchiare. Un frammento alla volta. E lei ha così tanta fame!
Un colpo, come un pugno, nell’incavo del ginocchio. Un secondo sulla spalla, un terzo sulle reni.
Ammit scarta verso un’auto parcheggiata, ci si lancia contro e la usa per rimbalzare indietro e fronteggiare chi l’ha attaccata.
Uomo con cappello e impermeabile. È sicura che le stia mostrando i denti.
Gli ringhia contro e l’uomo spara, immobile in mezzo alla strada, ma lei scarta di lato e viene solo sfiorata dai frammenti di vetro dell’auto.
È indecisa. Cibo o pericolo? Si piega su ginocchia e gomiti. Un altro pugno caldo, al braccio sinistro.
Prima il pericolo, poi il cibo.
Il vento gira. Ammit sorride. Pericolo e cibo assieme. Perfetto.
Scatta di nuovo. L’asfalto sotto la pelle è caldo, si scuote, la fa inciampare. Il rombo arriva un istante dopo, insieme all’urlo assordante dell’uomo. Si ferma, stordita e con la bocca secca. Ha paura, paura folle di qualcosa che non sa definire. E l’uomo… l’uomo ha qualcosa di sbagliato, anche se Ammit non ricorda cosa.
L’uomo guarda lontano. Ne segue lo sguardo, senza sapere perché.
Un frammento del suo cervello ricorda il profilo, il nome della cosa visibile in lontananza: Salazar Tower.
Tutte le finestre illuminate, la torre barcolla come ubriaca, si spezza in due in verticale. Emette un lampo, come una serie di anelli concentrici, poi tutte le luci si spengono mentre una metà si accascia di lato.
La fame chiama.
Ammit corre verso l’uomo, che sta ancora guardando affascinato il crollo. È a due balzi di distanza quando il cibo solleva il braccio e le spara al polso, senza nemmeno girarsi.
Ammit sgambetta via, ringhiante. Si porta la mano alla bocca. Il sangue sa di buono, ma non come quello del cibo.
Si getta di nuovo all’attacco.
È il vento a fermarla. È secco, lo cavalca il boato del crollo e una nube di polvere finissima che le si deposita addosso e le imbianca la pelle.
Ammit respira a pieni polmoni, si lecca le labbra.
Cibo. Cibo in polvere.
Si lecca le mani e le braccia. Si getta a terra e inizia a lappare la polvere dall’asfalto.
Cibo, ed è tutto suo.
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15 commenti:

  1. Spicy, davvero tosto. Un altro passo importante verso il botto finale. Ammit è davvero zombesca.

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  2. Un bellissimo capitolo, mi complimento.

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  3. DAvvero niente male, Ammit mi è piaciuta molto. Devo rileggermi qualche capitolo vecchio per ricordarmi chi sono Stray e Dehydra, ma di sicuro non è colpa dell'autore. Sempre meglio.
    Il Moro

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  4. Grande! Un capitolo davvero esplosivo, di quelli che non si dimenticano molto facilmente!
    E poi... Stray, la mia piccola... sono davvero orgoglioso! :)

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  5. Sì, anch'io dovrò recuperare chi sono le due ragazze... però prende, bel capitolo.
    Ammit veramente zombie, complimenti!

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  6. Ammit mette veramente i brividi in questo capitolo... ottimo lavoro! :D

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  7. Hey hey quel ragazzino malaticcio in periferia mi ricorda qualcuno :) Accidenti che capitolo! Ammit è resa veramente bene!

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  8. Bello... il ritorno di Libby, e Ammit è tanta roba!!!!

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  9. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  10. Lieta che il capitolo vi sia piaciuto, signori. E soprattutto, spero che i vari "genitori" siano tutti soddisfatti di come ho usato i loro figlioli. Avere tra le mani i personaggi di un altro autore mette un po' d'ansia da prestazione, se già non bastasse quella della RR :)
    @ Max: dici che ti ricorda qualcuno? Ma ne sei proprio proprio sicuro? ;)

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