mercoledì 10 luglio 2013

Capitolo 21 - Stagione 2 (di Ione di Chio)


22 ottobre 2013
Ore 7.14 (fuso orario UTC+2)
Zhongnanhai - Sede del Partito Comunista Cinese e del Governo della Repubblica Popolare

«È la sgualdrina americana! Non può essere che lei!»
Xi Jinping indica i monitor, slacciandosi la camicia. Non c'è più contegno, nel Presidente della Repubblica Popolare Cinese.
Una saetta dorata sfreccia sul lato nord del viale Chang'an occidentale. Nemmeno le più precise tra le telecamere che sorvegliano costantemente lo Zhongnanhai riescono a fissare i dettagli.
Gli esperti della sicurezza cercano in ogni modo di estrarre dei fotogrammi in tempo reale, mentre la saetta dorata attraversa da parte a pare i carri armati Tipo 85 e gli autoblindo delle forze speciali che proteggono la Porta della Nuova Cina, l'ingresso principale del complesso che ospita il cuore della superpotenza asiatica.
«Non è Lady Liberty», ribadisce il generale Lee Han Hui, l'uomo su cui, al momento, pesa la difesa della patria da quell'attacco incredibile e inaspettato.
«E allora chi è?», grida il Presidente, furibondo.
«Non lo sappiamo. In queste ore c'è lo stato di allerta in molti Paesi. Lo scontro sul suolo greco è sicuramente correlato a questo.» Indica il maxischermo al plasma, dove la saetta in forma umanoide taglia in due l'ennesimo Tipo 85, passandogli attraverso come la proverbiale lama nel burro.
«Registriamo altri due attacchi imputabili a terroristi superumani», esclama il maggiore Rong, dalla sua postazione informatica. «Londra e Nuova Delhi. Forse qualcosa a Mosca... non ho ancora notizie certe.»
Il generale Hui annuisce, secco. La saetta attraversa infine la sontuosa Porta della Nuova Cina, abbattendola, e penetra nel Zhongnanhai. Probabilmente fino a quel momento ha soltanto giocato.
Un anziano, vestito con una semplice camicia bianca e con dei jeans sbiaditi, esce dalle ombre della stanza dove e rimasto in attesa fino a quel momento. Fa un inchino ai presenti.
«Shenlong», lo saluta Hui, con rispetto. «Porta in salvo il nostro leader.»
«Senz'altro, generale.»
Xi Jinping si aggrappa al tavolo tattico, rosso in volto. «Io non fuggirò, né lo farà il vecchio. Lui è il nostro più forte metaumano e...»
«E per questo entrambi dovete vivere e pensare a una strategia per sconfiggere questi invasori.» Hui deglutisce. Nonostante la freddezza di facciata è terrorizzato. «Per sconfiggere questo Dio.»
Il Presidente non protesta più. Shenlong lo raggiunge e gli mette una mano sulla spalla. «Su, andiamo.» Entrambi si illuminano di un'intensa luce dorata, e poi scompaiono nel nulla.
Il generale si concede un sospiro.
«Nemico in rapido avvicinamento», lo avvisa uno dei suoi attendenti.
«Mandategli contro gli Uomini Modulari», ordina Hui. Sa che non serviranno. Sono validi combattenti superumani, ottimi guerrieri sperimentali creati con nuove applicazioni a base di Teleforce. Risulteranno però inutili contro un Super così forte come quello che stanno per affrontare.
Ma saranno utili a guadagnare del tempo.
Mentre dieci individui identici tra loro, vestiti con aderenti tute di colore rosso, entrano nel raggio d'azione delle telecamere esterne, il generale scosta il maggiore Rong dalla sua postazione e gli ruba cuffie e microfono. Sa di avere pochi minuti, una decina al massimo, per evitare che quell'attacco provochi un disastro termonucleare.
Almeno questo può evitarlo.
Non è poco, si consola, inoltrando la prima di tre chiamate sulle linee d'emergenza.

* * *

22 ottobre 2013
Ore 7.14 (fuso orario UTC+2)
Korinthos – Sede centrale della Hypothetical Inc.


Kedives è fuggito, e con lui Spencer Grant e gli altri pezzi grossi della Hypothetical, chiunque siano.
Sibir e Libby non possono far altro che ammettere l'evidenza. L'avanzata è stata più lenta del previsto, nonostante gli impressionanti poteri delle due Super unite.
La sede della multinazionale è protetta da mercenari armati fino ai denti, ben addestrati e determinati a far sudare ogni centimetro di terreno ceduto al nemico. Gli spetsnaz del team di Sibir si sono a loro volta battuti come leoni, cadendo uno dopo l'altro per proteggere la loro comandante. Ne rimangono in vita soltanto due, quando Libby si accorge che c'è una figura sfuggente che li pedina, nella loro infinita esplorazione di quel complesso, molto più grande del previsto. Ne ha già avuto il sentore un paio di volte, poco più che un sospetto, un riflesso incidentale nella coda dell'occhio. Ora invece quel sospetto è una certezza: lo ha visto.
Lady Liberty afferra il polso di Sibir, che ha appena abbattuto l'ennesimo mercenario. La pelle della russa scotta, ma Libby non molla la presa.
«Che vuoi?», la apostrofa Nadia, sudata e furibonda. Tutta quella perdita di tempo, quel girovagare a vuoto, la fa impazzire.
«Tu continua pure a friggerli. Io faccio una sorpresa a qualcuno.»
Prima che Sibir possa chiedere spiegazioni, Libby entra in ipervelocità e torna sui suoi passi, ripercorrendo il lungo corridoio disseminato di cadaveri che hanno appena attraversato.
L'ombra sfuggente viene colta di sorpresa, prima che possa nascondersi di nuovo. Libby lo vede: è un uomo sui quaranta, di media statura, capelli sale e pepe, viso anonimo, ma abbronzato. Indossa un completo bianco su una camicia grigia, sobrio e al contempo elegante. La ragazza fa per afferrarlo, ma rimane con un pugno d'aria in mano. La velocista strabuzza gli occhi, stupita.
Il suo bersaglio ora si trova due metri più indietro. Le è impossibile perfino pensarlo, ma a quanto pare si è mosso più rapidamente di lei.
«Sei lenta, amica mia.»
Telepatia.
L'uomo in giacca è immobile, come un fermo immagine. Libby gli piomba addosso con un calcio rovesciato. Il bersaglio scompare di nuovo. Il piede di Lady Liberty colpisce la parete, trasmettendole un dolore atroce, su fino al ginocchio. Cade a terra, perdendo la concentrazione sul suo potere. Il mondo torna a scorrere a velocità normale. Diversi metri più avanti la sparatoria tra gli spetsnaz e i mercenari di Kedives prosegue imperterrita.
Il suo avversario le compare alle spalle e le afferra la nuca. La sua mano è fredda come quella di un morto. «Fatti un giro nel labirinto di Dedalo, piccola.»
Libby si trova proiettata in un incubo quadrimensionale. Cade in un pozzo titanico, colossale, senza fondo ma dalle pareti irte di muri, spuntoni, contro cui sbatte più volte, rimbalzando come in un flipper. La sensazione è simile a quella che si prova al risveglio improvviso da certi brutti sogni, ma moltiplicata cento volte e ripetuta all'infinito.
Cadrò per sempre...
Fa giusto in tempo a formulare quel pensiero e l'illusione, se tale era, svanisce, sostituita da una vampata di calore che le brucia le punte dei capelli. Riapre gli occhi e vede Dedalo avvolto dalle fiamme, genuflesso sul pavimento a meno di un metro da lei.
L'uomo è una torcia umana con le mani levate verso il soffitto, simili agli stoppini di candele consumate.
Sibir avanza verso di lui, il plasma incandescente che sfrigola tra le sue dita. «Stai bene?», chiede a Libby, senza togliere gli occhi di dosso a Dedalo.
«Bene. Credo... È la seconda volta che mi salvi la vita.»
«Metti in conto.» Si rivolge poi alla torcia umana, che stranamente sembra ancora cosciente. «Chi sei tu?»
«Sono colui che mister Kedives ha incaricato di gestire casa, in sua assenza», biascica, mentre il suo corpo va letteralmente a pezzi.
«Beh, sei un pessimo maggiordomo», lo apostrofa la russa.
«Vi ho fatto perdere tutto il tempo che...» si stacca il labbro inferiore, che va in cenere. «Che era necessario per dare il via al Progetto Pantheon.»
Le due Super si guardano in faccia, con la brutta sensazione di essere state giocate. «Dov'è Kedives?», urla Libby, furibonda.
«Dove gli spetta: sull'Olimpo.» Detto ciò il corpo di Dedalo si affloscia su se stesso, consumandosi del tutto.
«Ci hanno sconfitte», sussurra Sibir, incredula.
Poco più avanti, nel corridoio, gli spari cessano. I due spetsnaz si ricongiungono alla loro comandante. Il sergente Anton Monja si toglie il passamontagna e si asciuga la fronte. «Comandante, i mercenari che stavamo combattendo...»
«Sono scomparsi all'improvviso», intuisce la Super russa.
«Sì. E questo corridoio ora sembra più breve.»
«Erano ombre. Illusioni. Chissà quando abbiamo ucciso l'ultimo di loro, e quanti altri proiettili abbiamo sprecato contro dei fantasmi.»
Libby la scuote per una spalla. «Riprenditi, bella. Cosa cazzo facciamo ora?»
«Il vostro amico carbonella ve l'ha detto, no?»
Una voce maschile alle loro spalle fa sobbalzare le due Super. Sibir si volta, pronta a bruciare qualunque altra persona, cosa o animale si ponga sulla sua strada. Invece vede uno strano terzetto.
Una ragazza dall'aria smarrita, con una gran massa di capelli rossi, stretta in una felpa che ne nasconde il corpo esile.
Un uomo vestito coi rimasugli di una battle dress uniform degli stormtrooper della Hypothetical Inc. Di mezza età, semiautomatica in mano, ma abbassata.
Infine il tizio che ha parlato, una specie di cowboy con tanto di cappello, e con un foulard impolverato che gli copre la bocca.
«Se cercate guai», li saluta Sibir, «siete nel posto giusto. La mia giornata è stata pessima, la vostra può solo peggiorare.»
«Frena bionda», la blocca Libby. «Conosco quel tale. Si fa chiamare Rebel Yell e non dovrebbe esserci ostile.»
«Non lo sono», conferma il cowboy. «E nemmeno i miei soci. Anzi, mi sa che abbiamo tutti un obiettivo comune. Anche tu, compagna.»
«Kedives?», domanda Sibir.
«E Grant. E salvare il mondo. O qualcosa del genere.»
«Molto teatrale, americano.»
«Mai come un tizio che vuole governare il pianeta dall'alto del Monte Olimpo.»
La siberiana spalanca gli occhi. «Non prenderai sul serio le parole di quell'imbecille?» col mento indica i resti scoppiettanti di Dedalo.
Rebel si tocca il cappello. «Hai forse idee migliori?»
«Loro chi sono?», risponde Sibir, spazientita.
«Lui è Bannon. Lo conoscerai strada facendo. Lei invece è Valerie Broussard, la persona che può risolvere tutto questo casino.»
Libby e Sibir si guardano, perplesse. Tocca alla velocista esprimere i dubbi di entrambe: «Lei? Senza offesa, ma a me sembra uno scricciolo impaurito. O in alternativa l'eroina timida uscita da un film fantasy per ragazzini.»
Rebel si abbassa il foulard. Sorride, anche se i suoi occhi esprimono una grande stanchezza. «Datele una chance. Vedrete che ci sarà da divertirsi.»

* * *

22 ottobre 2013
Ore 7.19 (fuso orario UTC+2)
Nei pressi di Vathy, Grecia


Alex Ross avanza barcollando tra le macerie di Vathy.
L'ultima colonna di profughi ha abbandonato la città da quasi mezz'ora. L'antenna radio del suo esoscheletro ha captato le comunicazioni, un misto di greco, inglese e slavo, poco fuori dalla cerchia urbana. Si tratta senz'altro di stormtrooper della Hypothetical Inc., mandate a soccorrere i civili coinvolti nello scontro tra Super. Nessuno di loro ha intenzione di entrare a Vathy.
Non sono così pazzi.
Ross invia un comando mentale al computer di bordo e abbassa la temperatura interna del suo esoscheletro. L'armatura Drakkar I continua a iniettargli antidolorifici e medicinali antiemorragici. Il braccio sinistro, tagliato poco sopra il gomito, non gli fa male.
Non ancora.
Loxias non l'ha ucciso. Forse per sbaglio, forse per scelta. Questo non lo sa e forse non lo saprà mai.
Magari è perché tu non sei un superuomo, e quindi non conti un cazzo. Dovevi rimanere nei Rangers, brutto imbecille.
Scuote il capo, godendosi l'ossigeno extra che gli pompa l'esoscheletro progettato da Rushmore.
Si siede all'ombra di una casa nella periferia est della cittadina. È in posizione sopraelevata. A trecento metri vede il mare, bellissimo. Peccato soltanto per l'intero quartiere turistico, distrutto da uno scambio di colpi tra Uranium e Loxias. Anche le zone attigue sono state colpite, più o meno duramente. Impossibile determinare chi tra i due ha causato più danni collaterali. Alex è solo contento della prova di coraggio e di forza fornita dal suo ragazzo.
Contro un Dio, cazzo. O almeno così ce l'ha venduto quello psicolabile di Kedives.
Certo, Eric è stato costretto in ritirata, oltre le colline. Però ha retto il colpo. Potere nucleare contro potere del Sole. È solo un caso che non abbia ancora prevalso il secondo. O forse Loxias non ha forzato la mano. Se la vuole godere, il bastardo.
Ma per quanto durerà?
La ricetrasmittente del casco trasmette una serie di notizie inquietanti, tutte inviate dal QG di Admiral City.
Lo Zhongnanhai sotto attacco da parte di un Super autonominatosi col nome di Hermes.
Westminster parzialmente abbattuto da due terroristi metaumani, nome in codice Dioscuri; altri folli vomitati dai laboratori di Kedives.
Nuova Delhi colpita in una devastante tempesta di fulmini, innaturale e senza precedenti.
Mosca sotto assedio, con Sibir lontana da casa. Nessuna notizia sull'identità degli assalitori.
«Drakkar I, rispondi. Ripeto: Drakkar I, rispondi. Cristo Ross, dacci un segnale!» La richiesta di feedback da parte del QG è insistente, ossessiva.
Alex non si sogna nemmeno di rispondere. È in modalità stealth, invisibile ai radar e allo spionaggio elettronico più sofisticato. Ha lanciato solo un segnale radio, prima di zittirsi del tutto.
Scanner è con Eric. Dentro di lui.
Contro di loro ci sono Loxias, il Dio del Sole, e la sua piccola strega rossa. Si stanno dando la caccia, in un gioco estremo tra guardia e ladri, che ha come scenario tutta la provincia greca dell'Egeo Settentrionale. Poco importa se nel mentre Kedives ha schierato altri mostri. Per il responsabile militare dello START ciò che conta è lo scontro di cui è oramai solo uno spettatore moribondo.
O forse no.
Il computer della Drakkar calcola l'arrivo di Uranium entro quattro minuti esatti. Se tutto va come hanno concordato, Loxias lo seguirà a ruota, certo di finirlo, una volta per tutte.
«Vieni, figlio di puttana», sussurra Ross. Con un impulso mentale attiva la modalità Ragnarok della sua armatura. Un regalino di Rushmore, che come sempre ha intuito come sarebbe finito quel casino che Christina Cielo aveva il coraggio di definire missione di peacekeeping.
Il sapientone gli ha spiegato per sommi capi cosa può fare il Ragnarok, oltre a polverizzare chi ne fa uso. Per il resto ha usato un sacco di paroloni, tra cui "ordigno di livellamento quantico", qualunque cosa voglia dire. Dalla simulazione via monitor, l'effetto scenico ha ricordato ad Alex le trappole usate da Bill Murray e soci in Ghostbusters, ma moltiplicato per almeno mille volte.
E con effetti del tutto imprevedibili. Non a caso al Pentagono non sanno sulla di questa sorpresina.
La prospettiva lo spaventa. Il computer gli ha appena fatto un calcolo degli abitanti che vivono nella provincia dell'Egeo Settentrionale.
208.151 esseri umani, dislocati in 3836 km².
Quelli che, se tutto andrà come deve andare, diventeranno presto dei danni collaterali.

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Capitolo scritto da Ione di Chio

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Impaginazione a cura di EbookAndBook
Grafica a cura di Giordano Efrodini

8 commenti:

  1. Bravissimo Ione, i tasselli tornano tutti al loro posto per l'allungo finale!

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  2. Colpi di scena e spiegazioni intriganti per ciò che è avvenuto nei capitoli precedenti! Good, good!

    Ciao,
    Gianluca

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  3. Bella giocata.
    I diversi thread cominciano a riunirsi.
    Il finale sarà col botto.
    Gran bel lavoro, Ione.

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  4. Apollocalisse!
    Spettacolare, un capitolo col - ehm - botto.
    Mi piace, mi piace un bel po'.

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  5. Dedalo e la sua telepatia mi hanno ricordato un personaggio di un manga, Itachi Uchiha, in grado di intrappolare le persone in un incubo quadrimensionale. Spettacolare! :D

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  6. fan-ta-sti-co! Finalmente una visione globale della storia e tanta "carne" al fuoco. Se si continua così ci giochiamo il pianeta.

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  7. Bellissimo! Dedalo è un grande (anche se è crepato male pure lui xD).
    Ottima anche la gestione delle trame, mi incuriosisce molto Ragnarok...
    Ancora complimenti! :)

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